domenica 7 marzo 2010

Johnson–Laird e la teoria comunicativa

La funzione delle emozioni è prepararci a diversi corsi d’azione o di inazione. Ci fanno reagire più rapidamente di quanto non faccia il ragionamento conscio. Ci rendono più pronti all’emergenza, ma quando soffocano il ragionamento, possono renderci più ottusi. Comunichiamo i nostri stati mentali agli altri. Di solito siamo consapevoli di una causa di un’emozione, ma non siamo mai consapevoli della transizione a un’emozione. Di un’emozione, di solito, siamo consapevoli, ed essa può influenzare le nostre azioni intenzionali. Tuttavia, quando l’intelletto ci muove in una direzione e l’emozione in un’altra, non abbiamo modo di disinnescare l’emozione. A volte neppure siamo in grado di controllare il nostro comportamento (p. 140). Le emozioni elementari costituiscono la base biologica di quelle emozioni complesse che sembrano caratteristiche della nostra specie. Le emozioni complesse dipendono da inferenze consce collegate con il modello che abbiamo di noi stessi e spesso, con il confronto tra possibilità alternative o tra eventi realmente occorsi e possibilità immaginate in storie alternative [...] Perciò un’emozione complessa integra un segnale emozionale elementare e una valutazione cognitiva conscia (p.130).

1) Le emozioni sono atti comunicativi tra membri della stessa specie. Tali segnali sono innati e più o meno stereotipati (vedi le espressioni facciali di Ekman). Si basano più sulle emozioni elementari che su quelle complesse dette anche sociali. Possono essere assimilabili ai segnali di allarme, minaccia e sottomissione di altri mammiferi sociali. L’interpretazione avviene a livello inconscio ad opera di aree specializzate del cervello (pp. 124-25).

Il cervello ha una struttura di tipo gerarchico, e la coscienza è simile a un sistema operativo che esercita un controllo sui moduli, ma può entrare in conflitto con questi. Alcuni moduli possono comunicare proposizioni significative o loro modelli. Ma la teoria comunicativa implica un’altra forma di comunicazione interna, evolutivamente  più antica e elementare: un piccolo insieme di segnali mutuamente esclusivi che si propagano da un modulo all’altro. Sono segnali semplici. Come le espressioni facciali, essi non richiedono, per essere interpretati, il ricorso alla memoria di lavoro, perché i loro significati non dipendono dal significato delle parti. Sono istintivi e distintivi. Di questo tipo sono le sensazioni somatiche come la fame o la sete, che dipendono dal monitoraggio dell’ambiente interno. Anche le emozioni elementari sono segnali del genere: essi viaggiano da una parte all’altra del cervello per dirigere l’attenzione, mobilitare le risorse somatiche innate, predisporre un’appropriata sequenza di comportamenti. Il segnale prende avvio da una valutazione cognitiva, che può produrre o no un messaggio cosciente, e un’importante anello della catena è una transizione inconscia al segnale emozionale.
I segnali emozionali ci aiutano a coordinare scopi e piani in relazione a vincoli quali il tempo e le risorse intellettive. Possono sorgere ai punti di svolta dell’esecuzione di un piano. Sono un sistema di controllo più flessibile dei riflessi innati (ad esempio, il battere le ciglia). Al tempo stesso sono più rapidi del ragionamento conscio, perché non hanno bisogno della memoria di lavoro.
Tipicamente, siamo consapevoli sia del segnale sia del messaggio. [...] [Però] l’emozione può essere inconscia anche se il messaggio cognitivo giunge alla coscienza. [...] D’altra parte, possiamo essere inconsapevoli della valutazione cognitiva, e provare un’emozione, ma senza avere idea della causa (pp. 126-27).
[...] L’ipotesi che vi siano due canali di comunicazione distinti – il rapido segnale dell’insorgere di un’emozione e un più lento messaggio cognitivo – stata confermata nel caso di una delle emozioni elementari, la paura. Joseph LeDoux, un eminente neuroscienziato, ha mostrato che l’informazione percettiva, per raggiungere l’amigdala, può seguire due vie. Una via è rapida: collega direttamente il talamo sensoriale – una stazione intermedia dell’informazione percettiva – all’amigdala. Essa non passa per la corteccia, e perciò il suo segnale è frutto di un’analisi cognitiva grossolana. L’altra via, più lenta, collega il talamo sensoriale all’amigdala passando per la corteccia. È il percorso seguito dal messaggio sulla valutazione cognitiva. La relativa indipendenza di segnali e messaggio è confermata dalla dalle osservazioni cliniche. (p. 129)

2) Le emozioni ci permettono di prendere decisioni senza perderci in un dedalo di ragionamenti. La transizione a un’emozione genera un segnale positivo – per incoraggiarci a perseverare – o negativo – per metterci in guardia da un pericolo incombente. Queste relazioni istintive, che Damasio chiama marcatori somatici, ci permettono di rispondere con uno sforzo di riflessione minimo. (p. 132) Cioè entrano nella valutazione ideoaffettiva di un evento, o meglio è una modalità rapida di categorizzazione dell’esperienza in funzione della memoria passata affettiva.

3) Spesso le nostre azioni ci muovono [direttamente] all’azione. Ma ragionare è ancora possibile, e a volte il ragionamento è in conflitto con l’emozione. Possiamo concludere che un’azione sarebbe immorale o imprudente. La soluzione del conflitto è una soluzione aperta: non possiamo predirla. Nel comportamento esiste un elemento irriducibile di indeterminismo. Le sensazioni forti che insorgono in certe condizioni sono [spesso] inappropriate (p. 133). Il ruolo centrale della corteccia prefrontale e orbitale per risolvere tali conflittualità - sia tra i moduli cognitivi tra loro che tra quelli cognitivi e emotivi -  sembra essere sempre più riconosciuto.
 
Tratto da “Pensiero e ragionamento” (2008).

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