domenica 7 marzo 2010

La scienza della decisione di Berthoz

Penso che la decisione sia una proprietà fondamentale del sistema nervoso, e che la capacità di prendere decisioni complesse, di deliberare, sia dovuta a una modificazione di tutti gli stadi dell’organizzazione del sistema, e non soltanto alla comparso di moduli nella corteccia frontale. Il cervello non decide in funzione del valore assoluto della gratificazione, ma in funzione del valore soggettivo, della differenza tra ciò che ha previsto o desiderato e ciò che ottiene. [...] La concezione che propongo io, vede il cervello come una parte del mondo, che ne ha interiorizzato le proprietà, ne emula alcune, ma riferendole ai propri fini, un cervello che costruisce la realtà esterna proiettando in essa le percezioni, i desideri, le intenzioni. Esso semplifica il mondo in funzione delle proprie scelte, percepisce soltanto quello che vuole percepire. Ad esempio, crea una serie di regolarità negli stimoli del caso. Questa individuazione di regolarità è obbligata e non cosciente, visto che non implica nessuno sforzo di attenzione. Il cervello non simula soltanto, è un emulatore che crea il mondo come nei sogni. [...] rappresenta una serie di sceneggiature. [...] La teoria di Rolls enuncia che le vie corticali di elaborazione dei dati sensoriali sono protette da ogni interferenza dell’emozione fino a uno stadio molto elaborato dell’analisi percettiva. Questo stadio sarebbe quello in cui si creano invarianti percettive [...] L’emozione, in questo approccio, interviene aggiungendo - come prevede la teoria dei marcatori somatici di Damasio - un valore, nel senso più ampio della parola, a questa percezione ricostruita. Per contrasto, le vie corte scoperte da LeDoux consentono di innescare velocemente un repertorio di comportamenti essenziali per la sopravvivenza - come la fuga, l’aggressione, la sottomissione. [...] Il cervello avrebbe dunque a disposizione almeno due meccanismi, apparentemente molto differenti. Uno, comparso presto nel corso dell’evoluzione e legato alla sopravvivenza, è rapido. In questo caso la decisione è il frutto di una cooperazione stretta e obbligata tra l’emozione e la percezione. [...] L’altro è comparso più tardivamente nell’evoluzione. Presuppone una complessa elaborazione delle informazioni dei sensi, ma, soprattutto, è la proiezione delle intenzioni, dipende dal passato, dalla storia dell’individuo e dal gruppo sociale, dalla cultura.
[...] Come riconciliare questi due punti di vista? Attraverso il concetto di eterarchia delle decisioni - le decisioni sono prese a tutti i livelli, e ogni livello influenza quello precedente e quello successivo – e modificando la concezione del funzionamento del cervello. Invece di considerare l’emozione solo come una reazione, bisogna considerarla un mezzo di preparazione all’azione. L’emozione è uno strumento per la decisione, è il potente mezzo di previsione di un cervello che anticipa e progetta le proprie intenzioni. [...] L’emozione in particolare attiverebbe i meccanismi dell’attenzione selettiva, e indurrebbe invece di una deformazione del mondo percepito, una selezione degli oggetti percepiti o trascurati nel mondo, modificherebbe profondamente la relazione tra la memoria e la percezione del presente. L’emozione, guida dell’attenzione, sarebbe un filtro percettivo [creativo]. [...] La funzione principale del cervello è quella di prevedere le conseguenze dell’azione in funzione dei risultati di azioni passate; la memoria serve essenzialmente a prevedere il futuro, non soltanto a ricordarlo. Decidere è dunque prevedere  una serie di conseguenze future delle azioni, ma è anche valutarne la pertinenza in rapporto al vissuto del reale attuale (p. 370 e seguenti).
Nonostante le teorie che vedono nell’e-mozione solo la preparazione del corpo verso un’azione, cioè a ex movere verso qualcosa, Berthoz riprende la definizione di Sartre secondo cui l’emozione: “è una trasformazione del mondo. Quando le vie tracciate diventano troppo difficili o quando non scorgiamo nessuna via, non possiamo più rimanere in un mondo così pressante e così difficile. Tutte le vie sono sbarrate, eppure bisogna agire. Allora tentiamo di cambiare il mondo; cioè di viverlo come se i rapporti delle cose con le loro potenzialità non fossero regolati da processi deterministici, ma dalla magia”. [...] Il ricorso alla magia è importante: per Sartre, tutte le emozioni “concorrono alla costituzione di un mondo magico, utilizzando il nostro corpo come mezzo d’incanto”, [come filtro creativo] (p. 63).
 
Tratto da “La scienza della decisione” (2004).

Il marcatore somatico di Damasio

L’evoluzione sembra aver assemblato i meccanismi cerebrali dell’emozione e dei sentimenti procedendo per gradi. Dapprima viene il meccanismo per produrre reazioni a un oggetto o a un evento, orientate verso l’oggetto stesso o le circostanze: Il meccanismo dell’emozione. Poi viene il meccanismo per produrre una mappa cerebrale e successivamente un’immagine mentale - un’idea - delle reazioni e dello stato dell’organismo che ne risulta: il meccanismo del sentimento.
Il primo dispositivo, quello dell’emozione, consentì agli organismi di rispondere in modo efficace, sebbene non creativo, a numerose circostanze che, a seconda dei casi, potevano essere favorevoli o minacciose - circostanze ed esiti rispettivamente positivi e negativi per la vita. Il secondo meccanismo, quello del sentimento, introdusse una sorta di allarme mentale per rilevare le circostanze buone o cattive, e prolungò l’impatto delle emozioni influenzando in modo duraturo attenzione e memoria. Alla fine, in una proficua combinazione con i ricordi del passato, l’immaginazione e il ragionamento, i sentimenti portarono all’emergere della previsione e alla possibilità di creare risposte nuove, non più stereotipate (p. 104).
 
[...] Il richiamo del segnale emozionale assolve a compiti importanti. Implicitamente o esplicitamente, esso porta a concentrare l’attenzione su particolari aspetti del problema e pertanto migliora la qualità del ragionamento. Un segnale palese innescherà allarmi automatici nei confronti di opzioni che, probabilmente, avrebbero esiti negativi. Una sensazione viscerale può sconsigliarci di compiere un passo che, a suo tempo, ha avuto conseguenze negative, e questo ancora prima che il nostro ragionamento ci dica: “non farlo”. Ma il segnale emozionale, anziché attivare  l’allarme, può anche spingerci a prendere rapidamente una certa decisione, perché, nella storia del sistema, essa ha finito con l’essere associata a un esito positivo. In breve, il segnale in questione marca opzioni ed esiti attribuendo loro una valenza positiva o negativa, che restringe lo spazio della decisione e aumenta la probabilità di conformare l’azione presente all’azione passata. Poiché, in un modo o nell’altro, i segnali riguardano il corpo, cominciai a riferirmi a queste idee come all’ipotesi del marcatore somatico.
Il segnale emozionale non è un sostituto del ragionamento vero e proprio, ma ha semplicemente un ruolo ausiliario, giacché ne aumenta l’efficienza e lo velocizza.. In qualche caso, può renderlo quasi superfluo, come accade, per esempio, quando respingiamo immediatamente un’opzione che condurrebbe a un disastro sicuro o viceversa, cogliamo al volo una buona opportunità in base alla sua elevata probabilità di successo.
In alcuni casi il segnale emozionale può essere molto forte, e condurre alla parziale riattivazione di emozioni come la paura e la felicità, seguite dal sentimento cosciente appropriato di quella particolare emozione. È questo il presunto meccanismo della percezione viscerale, che utilizza quello che ho definito circuito corporeo. D’altra parte, i segnali emotivi possono funzionare anche in modo più sottile, e presumibilmente, nella maggior parte dei casi, è così che svolgono la loro funzione. In primo luogo è possibile produrre percezioni viscerali senza usare davvero il corpo, ma attingendo dal circuito come sé. In secondo luogo, poi, c’è un fatto più importante, e cioè che il segnale emozionale può operare interamente al riparo dal radar della coscienza.
Può produrre alterazioni nella memoria operativa, nell’attenzione e nel ragionamento, così che il processo decisionale sia orientato verso la scelta dell’azione che, sulla base dell’esperienza precedente, ha maggiore probabilità di condurre al migliore esito possibile. L’individuo può anche non avere cognizione di queste operazioni implicite. In tali condizioni, noi intuiamo una decisione e la mettiamo in atto, in modo rapido ed efficace, senza avere alcuna conoscenza dei passaggi intermedi.
Il nostro gruppo di ricerca, insieme ad altri, ha accumulato dati sostanziali a conferma di tali meccanismi. Il loro legame con il corpo è noto da secoli al buon senso comune. Spesso ci riferiamo ai presentimenti che orientano nella giusta direzione il nostro comportamento come ai visceri o al cuore. [...] L’idea che le emozioni siano intrinsecamente razionali, sebbene si sia mantenuta marginale, ha una lunga storia (p. 180-81).

Tratto da “Alla ricerca di Spinoza. Emozioni, sentimento e cervello” (2003).

Joseph LeDoux e l’emozione della paura

1) Gli stati emotivi monopolizzano le risorse del cervello [causalità ascendente o via button-up]
Infatti, gli stimoli emotivi sono tra i più potenti attivatori dei sistemi modulatori. [...] In presenza di uno stimolo minaccioso l’amigdala invia attraverso le connessioni neurali un feedback diretto alle aree sensoriali della corteccia, stimolando queste aree a mantenere un’attenzione focalizzata su particolari aspetti critici contestuali dello stimolo [a. influenza attenzione selettiva]. Il feedback amigdaloideo raggiunge altre aree corticali impegnate nel pensiero e nella formazione delle memorie esplicite, stimolandole a produrre particolari pensieri e a formare particolari memorie sulla situazione contingente. [b. influenza memoria di lavoro]. Inoltre, l’amigdala invia connessioni ai sistemi attivanti, inducendoli a rilasciare sostanze chimiche modulatorie in tutto il cervello [c. attiva i sistemi motivazionali plurimodali]. Le sinapsi attivamente implicate nel:
a. il processamento del mondo esterno,
b. l’attività di pensiero sul mondo,
c. la formazione di memorie su di esso, [modificando la plasticità cerebrale],
d. la ricezione del feedback amigdaloideo,
risulteranno quindi potenziate.
[...] Allo stesso tempo, si manifesteranno le risposte corporee controllate dall’amigdala, fornendo poi un’ulteriore informazione di ritorno al cervello, non solo sotto forma delle sensazioni che sono parte della risposta “sentita” dell’emozione, ma anche sotto forma di ormoni che influenzano ulteriormente l’attività sinaptica, per un periodo di tempo più lungo anche dei modulatori. Il risultato finale è che l’arousal emotivo 1. si diffonde estesamente all’interno del cervello e 2. si perpetua [circolarmente]. [...] l’arousal di uno stato emotivo non solo concentra gran parte delle risorse cognitive cerebrali su questo stato, ma sospende l’attività di altri sistemi emotivi. Di conseguenza l’apprendimento è coordinato attraverso i sistemi in maniera molto specifica, che garantisce la pertinenza dell’apprezzamento che si sta realizzando alla situazione emotiva del momento. (pp. 445-47)
L’apprendimento è influenzato dalle emozioni in almeno due modi, tramite:
1. condizionamento classico. Avviene grazie alla legge di Hebb, cioè grazie alla facilitazione delle interconnessioni sinaptiche dovute ai singoli neuroni eccitati ripetutamente. Essendo gli eventi concomitanti, le reti locali attivate si rafforzano internamente e contemporaneamente si connettono con più facilità con le altre contemporaneamente attivate.
2. condizionamento strumentale. Avviene per rinforzo, cioè grazie all’ausilio di un premio. I percetti cognitivi vengono associati valorialmente a delle valutazioni emotive piacevoli e spiacevoli, venendo in questo modo marcati somaticamente, come direbbe Damasio.
 
2) La mobilità discendente dei pensieri coordina la plasticità in parallelo [causalità discendente o via top-down]
Se buona parte della responsabilità dell’assemblaggio del sé è dovuta a processi sostanzialmente automatici, eppure questa non è che una parte della storia. Le rappresentazioni convergenti costruite in tal modo vengono impiegate anche per dirigere l’attività percorrendo in senso inverso i processi elaborativi gerarchicamente organizzati. I pensieri e le memorie collocati nella memoria di lavoro (MdL), per esempio, possono influenzare:
a. il modo in cui vediamo le cose,
b. il modo in cui ci comportiamo.
Queste funzioni esecutive di controllo della memoria di lavoro sono possibili poiché la corteccia prefrontale, come altre zone di convergenza, ricambia le proiezioni. In altre parole, le connessioni sono rimandate alle regioni che forniscono le afferente convergenti. Tirando i fili giusti (tirando gli assoni giusti), la memoria di lavoro è in grado di dirigere il traffico all’interno delle aree con le quali è collegata, potenziando l’elaborazione degli stimoli rilevanti per il compito nel quale si è impegnati e inibendo l’elaborazione di altri stimoli. Il processo mediante il quale il pensiero può indurre il cervello a diramare particolari ordini è noto come causalità discendente. [...] Se un pensiero, [ma anche un’intenzione cosciente] è un pattern di attività neurale in una rete, non solo può determinare l’attivazione di un’altra rete, ma può anche determinarne il cambiamento e la plasticità. [...] La mobilità retroattiva del pensiero rappresenta un potente mezzo attraverso il quale viene coordinata la plasticità in parallelo nei sistemi neurali. [...] Affidando un tale potere ai pensieri, possiamo cominciare a capire come il modo in cui pensiamo noi stessi possa avere importanti influenze sul modo in cui siamo e su chi diventiamo. L’immagine di Sé è autoperpetuante (pp. 443-45).
Allora l’immagine del Sé basale dovuta più all’influenza di motivi impliciti button-up, può essere fatta interagire con l’immagine del Sé motivazionale come ipotizzato da McCllelland. Secondo LeDoux, rimane comunque la constatazione della difficoltà dell’armonizzazione delle componenti modulari componenti il sistema cerebrale, cioè i sistemi motivazioni, emozionali e cognitivi. Infatti, il nostro cervello non si è evoluto a un punto tale che i nuovi sistemi, i quali rendono possibile un pensiero complesso, riescono facilmente a controllare i sistemi antichi che danno origine ai nostri bisogni e moventi di base, nonché alle reazioni emotive. Ciò non vuol dire che siamo completamente in balia del nostro cervello e che non ci resti che cedere ai nostri impulsi. Significa invece che la causalità discendente è a volte un’impresa ardua. Fare la cosa giusta non sempre scaturisce spontaneamente dal fatto di sapere quale sia la cosa giusta da fare. 
In conclusione, dunque, il Sé è sostenuto da sistemi che operano sia in modo esplicito sia in modo implicito. Attraverso i sistemi espliciti ci sforziamo di affermare in modo intenzionale chi siamo e il modo in cui ci comporteremo. Ma solo in parte riusciamo effettivamente in tal senso, dal momento che abbiamo un accesso conscio imperfetto ai sistemi emotivi, che svolgono un ruolo tanto cruciale nel coordinare l’apprendimento proveniente da altri sistemi. A dispetto della loro importanza, tuttavia, i sistemi emotivi non sono sempre attivi e hanno solo un’influenza episodica su quanto gli altri sistemi apprendono e memorizzano. Per di più, siccome esistono molteplici sistemi emotivi indipendenti, l’influenza episodica di un qualsiasi sistema è autoreferente e allo tempo parte dell’impatto generale che le emozioni hanno sullo sviluppo del Sé (pp. 149-50).

Tratto da il “Sé sinaptico. Come il nostro ci fa diventare quelli che siamo” (2002)

Johnson–Laird e la teoria comunicativa

La funzione delle emozioni è prepararci a diversi corsi d’azione o di inazione. Ci fanno reagire più rapidamente di quanto non faccia il ragionamento conscio. Ci rendono più pronti all’emergenza, ma quando soffocano il ragionamento, possono renderci più ottusi. Comunichiamo i nostri stati mentali agli altri. Di solito siamo consapevoli di una causa di un’emozione, ma non siamo mai consapevoli della transizione a un’emozione. Di un’emozione, di solito, siamo consapevoli, ed essa può influenzare le nostre azioni intenzionali. Tuttavia, quando l’intelletto ci muove in una direzione e l’emozione in un’altra, non abbiamo modo di disinnescare l’emozione. A volte neppure siamo in grado di controllare il nostro comportamento (p. 140). Le emozioni elementari costituiscono la base biologica di quelle emozioni complesse che sembrano caratteristiche della nostra specie. Le emozioni complesse dipendono da inferenze consce collegate con il modello che abbiamo di noi stessi e spesso, con il confronto tra possibilità alternative o tra eventi realmente occorsi e possibilità immaginate in storie alternative [...] Perciò un’emozione complessa integra un segnale emozionale elementare e una valutazione cognitiva conscia (p.130).

1) Le emozioni sono atti comunicativi tra membri della stessa specie. Tali segnali sono innati e più o meno stereotipati (vedi le espressioni facciali di Ekman). Si basano più sulle emozioni elementari che su quelle complesse dette anche sociali. Possono essere assimilabili ai segnali di allarme, minaccia e sottomissione di altri mammiferi sociali. L’interpretazione avviene a livello inconscio ad opera di aree specializzate del cervello (pp. 124-25).

Il cervello ha una struttura di tipo gerarchico, e la coscienza è simile a un sistema operativo che esercita un controllo sui moduli, ma può entrare in conflitto con questi. Alcuni moduli possono comunicare proposizioni significative o loro modelli. Ma la teoria comunicativa implica un’altra forma di comunicazione interna, evolutivamente  più antica e elementare: un piccolo insieme di segnali mutuamente esclusivi che si propagano da un modulo all’altro. Sono segnali semplici. Come le espressioni facciali, essi non richiedono, per essere interpretati, il ricorso alla memoria di lavoro, perché i loro significati non dipendono dal significato delle parti. Sono istintivi e distintivi. Di questo tipo sono le sensazioni somatiche come la fame o la sete, che dipendono dal monitoraggio dell’ambiente interno. Anche le emozioni elementari sono segnali del genere: essi viaggiano da una parte all’altra del cervello per dirigere l’attenzione, mobilitare le risorse somatiche innate, predisporre un’appropriata sequenza di comportamenti. Il segnale prende avvio da una valutazione cognitiva, che può produrre o no un messaggio cosciente, e un’importante anello della catena è una transizione inconscia al segnale emozionale.
I segnali emozionali ci aiutano a coordinare scopi e piani in relazione a vincoli quali il tempo e le risorse intellettive. Possono sorgere ai punti di svolta dell’esecuzione di un piano. Sono un sistema di controllo più flessibile dei riflessi innati (ad esempio, il battere le ciglia). Al tempo stesso sono più rapidi del ragionamento conscio, perché non hanno bisogno della memoria di lavoro.
Tipicamente, siamo consapevoli sia del segnale sia del messaggio. [...] [Però] l’emozione può essere inconscia anche se il messaggio cognitivo giunge alla coscienza. [...] D’altra parte, possiamo essere inconsapevoli della valutazione cognitiva, e provare un’emozione, ma senza avere idea della causa (pp. 126-27).
[...] L’ipotesi che vi siano due canali di comunicazione distinti – il rapido segnale dell’insorgere di un’emozione e un più lento messaggio cognitivo – stata confermata nel caso di una delle emozioni elementari, la paura. Joseph LeDoux, un eminente neuroscienziato, ha mostrato che l’informazione percettiva, per raggiungere l’amigdala, può seguire due vie. Una via è rapida: collega direttamente il talamo sensoriale – una stazione intermedia dell’informazione percettiva – all’amigdala. Essa non passa per la corteccia, e perciò il suo segnale è frutto di un’analisi cognitiva grossolana. L’altra via, più lenta, collega il talamo sensoriale all’amigdala passando per la corteccia. È il percorso seguito dal messaggio sulla valutazione cognitiva. La relativa indipendenza di segnali e messaggio è confermata dalla dalle osservazioni cliniche. (p. 129)

2) Le emozioni ci permettono di prendere decisioni senza perderci in un dedalo di ragionamenti. La transizione a un’emozione genera un segnale positivo – per incoraggiarci a perseverare – o negativo – per metterci in guardia da un pericolo incombente. Queste relazioni istintive, che Damasio chiama marcatori somatici, ci permettono di rispondere con uno sforzo di riflessione minimo. (p. 132) Cioè entrano nella valutazione ideoaffettiva di un evento, o meglio è una modalità rapida di categorizzazione dell’esperienza in funzione della memoria passata affettiva.

3) Spesso le nostre azioni ci muovono [direttamente] all’azione. Ma ragionare è ancora possibile, e a volte il ragionamento è in conflitto con l’emozione. Possiamo concludere che un’azione sarebbe immorale o imprudente. La soluzione del conflitto è una soluzione aperta: non possiamo predirla. Nel comportamento esiste un elemento irriducibile di indeterminismo. Le sensazioni forti che insorgono in certe condizioni sono [spesso] inappropriate (p. 133). Il ruolo centrale della corteccia prefrontale e orbitale per risolvere tali conflittualità - sia tra i moduli cognitivi tra loro che tra quelli cognitivi e emotivi -  sembra essere sempre più riconosciuto.
 
Tratto da “Pensiero e ragionamento” (2008).

Nella mente degli altri. Neuroni specchio e simulazione incarnata


1) Corteccia visiva. Neuroni della visione
Nella corteccia visiva i neuroni sono disposti in modo ordinato in colonne sensibili all'orientamento degli stimoli e all'occhio stimolato.
Alcune colonne dipendono dall'occhio di destra e sono sensibili a stimoli orientati orizzontalmente, altre sono collegate all'occhidi sinistra e si attivano per stimoli orientati verticalmente. Le colonne sono ulteriormente organizzate in supercolonne, ciascuna delle quali codifica per un punto specifico della retina tutti i possibili orientamenti e tutte le possibili risposte monoculari e binoculari.
L'insieme delle supercolonne fornisce la base per la ricostruzione dell'immagine nella sua interezza. Grazie a questa organizzazione, infatti, le caratteristiche degli oggetti identificate dai vari neuroni vengono integrate nei centri visivi superiori (p. es. nella parte inferiore del lobo temporale). Così, se le caratteristiche analizzate dai vari neuroni fanno parte di una faccia, la corteccia temporale la ricompone per somma e integrazione.
La collezione di forme e segni riconosciuti dai neuroni della corteccia visiva, nel suo insieme, costituisce una sorta di repertorio a cui il cervello attinge per analizzare, interpretare e ricostruire le immagini provenienti dal mondo esterno (pp. 16-7).

2) Il repertorio delle azioni. Motoneuroni
Nei comportamenti di questi neuroni si è incominciato a intravedere una logica. Lo stesso neurone si attiva per movimenti di muscoli diversi, sia della mano destra, sia della sinistra, e perfino della bocca, purché lo scopo del movimento sia il medesimo; al contrario, due movimenti del tutto simili, per esempio del dito indice, attivavano un neurone quando hanno un certo scopo, ma un neurone diverso quando ne hanno un altro.
Anche la maniera in cui la mano afferra un oggetto causa attivazioni differenziate dei neuroni (p. 23). […] Dunque le informazioni sensoriali che provengono dagli oggetti si intrecciano e si combinano con le possibilità e le capacità d'azione del macaco, in base a un comune denominatore: lo scopo che l'animale vuole raggiungere. I neuroni coinvolti hanno cioè funzione sia sensoriale sia motoria, due aspetti che nella concezione classica delle scienze cognitive erano invece separati e indipendenti. Quei neuroni elaborano informazioni pragmatiche, che non dicono nulla sull'identità o sulle qualità dell'oggetto, ma guidano l'animale all'interazione e lo mettono in condizione di agire (p. 24).
La collezione di questi neuroni costituisce il repertorio cerebrale degli atti motori, così chiamati per distinguerli dai movimenti privi di scopo, che non attivano neuroni motori implicati in azioni dirette a oggetti.

3) I neuroni specchio (corteccia pre-motoria)
Esistono dei neuroni che si attivano sia quando si compie una certa azione, sia riflessivamente quando si osserva la medesima azione effettuata da altri.
Si tratta di neuroni che si comportano come i neuroni motori quando si attivano per un'azione propria, mentre mostrano la propria peculiarità quando si attivano in risposta alla stessa azione compiuta da altri.
Come i cugini motori, anche i neuroni specchio si attivano ciascuno in modo molto specifico per una certa azione. Lo scopo dell'azione altrui è quindi il criterio fondamentale in base al quale queste cellule possono essere classificate. In analogia con i neuroni motori, in neuroni-afferrare, strappare e così via. […]
Per la prima volta, è stato così individuato un meccanismo neuronale che permette di unire direttamente la descrizione visiva di un'azione alla sua comprensione e esecuzione. Comprendere un'azione dal punto di vista neuronale significa che il cervello ha la capacità, attraverso l'attività dei propri circuiti di neuroni, di ottenere una descrizione interna di un'azione e di usarla per pianificare comportamenti motori futuri (pp. 32-3).L'attivazione dei neuroni specchio è presente non soltanto per le azioni transitive (dirette a oggetti) ma anche per quelle intransitive (non dirette a oggetti).
► Fino a che punto può spingere la capacità di astrazione dei sistemi specchio nell'evocare un'azione?
Quando sentiamo parlare di un'azione, la osserviamo o ne leggiamo una descrizione, nel nostro cervello si attivano gli stessi circuiti specchio. Questi circuiti sembrano perciò avere un ruolo chiave nel rappresentare mentalmente le azioni, sia che le si osservi, sia che le si evochi mediante un'elaborazione acustica (pp. 44-6).

4) Il che cosa e il perché di un'azione
► A che cosa serve capire le azioni degli altri?
► Il meccanismo specchio si è evoluto esclusivamente per riconoscere le azioni degli altri, oppure possiede funzioni ulteriori?
I neuroni specchio non si eccitano in funzione di uno specifico tipo di stimolo – motorio, uditivo, visivo – ma quando l'animale è in grado di capire cosa fanno gli altri indipendentemente dal canale con il quale percepiscono le azioni.
Ma i neuroni specchio hanno un'ulteriore funzione. Riescono infatti a informare l'osservatore non solo sull'azione che uno compie, ma anche sul perché la sta compiendo, cioè sulle sue intenzioni. In particolare si riconosce l'intenzione altrui sin dall'inizio, cioè fin dalla prima parte dell'azione. Inoltre, questa intenzione organizza fin dall'inizio tutti gli atti motori che la compongono.
► Come avviene ciò?
Grazie a una simulazione, sebbene inconscia (automatica) dentro di sé. Il che vuol dire compiere una inferenza al limite senza alcuna forma di rappresentazione mentale, attivando cioè delle mappe neuronali soltanto. Per riassumere i neuroni specchio riescono a leggere nei movimenti altrui sia gli obiettivi, sia le motivazioni che vi stanno dietro.
► Con quali criteri scelgono proprio quei movimenti anziché altri?
Gli animali di solito utilizzano una minima parte del repertorio di movimenti a disposizione per raggiungere lo stesso obiettivo, scegliendo quelli che si adattano meglio a compiere quella specifica azione. Così, il criterio sembra essere proprio l'intenzione presunta, codificata in catene di neuroni, e quindi di movimenti che sono i più idonei e i più probabili, in base a un dato contesto, a produrre in maniera fluida, l'azione necessaria a raggiungere un particolare obiettivo piuttosto che un altro.
► Che cosa succede quando invece guardo un'azione che non appartiene al mio repertorio acquisito?
Nell'insieme i dati raccolti finora indicano che i primati, umani e non, riconoscono e comprendono le azioni degli altri attraverso due meccanismi neuronali, uno che in qualche modo riesce a appaiare l'azione osservata con l'azione da seguire, l'altro basato sul ragionamento o su processi cognitivi di ordine superiore. Il primo accoppiamento può avvenire perché i due momenti, di osservazione e di esecuzione, probabilmente producono due “stampi” che sono molto simili, o che quanto meno riescono a intendersi su un terreno comune: quello del significato dell'azione.
Nota: da questo punto si parla solo dei neuroni specchio umani, finora invece si intendeva entrambi.

5) L'immedesimazione umana
► Come fanno gli esseri umani a comprendere le emozioni degli altri.
Ci sono più modi possibili.
a) Uno di questi passa attraverso un'elaborazione cognitiva e logica dell'emozione altrui: se per esempio osserviamo una persona commossa, possiamo immaginare il sentimento che quella persona sta provando attraverso una deduzione razionale, che però non ci fa vivere la medesima sensazione.
b) Oppure lo stato emotivo di una persona può trovare una corrispondenza diretta nell'osservatore. In questo caso l'osservatore prova la stessa emozione della persona osservata, e si parla di empatia. Esiste dunque un meccanismo che ci permette di comprendere le emozioni altrui rivivendole all'interno di noi stessi. Tale meccanismo è molto simile a quello che controlla la comprensione di azioni e intenzioni: si tratta in entrambi i casi di un meccanismo specchio. Noi umani siamo dunque in grado di sentire sensazioni ed emozioni altrui attraverso un meccanismo specchio che è capace di ritrovare e attivare una sorta di stampo emotivo nella nostra corteccia cerebrale. Il sistema dei neuroni specchio degli esseri umani ha dunque dimostrato di essere una rete evoluta di meccanismi cerebrali sofisticati, situati in diverse aree della corteccia: il riconoscimento di azioni e intenzioni avviene nel giro frontale inferiore e nel lobo parietale inferiore, mentre l'immedesimazione di fronte all'osservazione del dolore e del disgusto coinvolgere soprattutto le aree corticali chiamate insula anteriore e cingolo rostrale.
► Che cos'è l'imitazione?
Gli animali sembra non siano in grado di imitare al limite si può parlare di:
a) imitazione automatica, una sorta di facilitazione di risposta. Un uccello fugge, anche il vicino compie lo stesso movimento. Il movimento del primo animale funziona, verosimilmente, soltanto da segnale di rilascio di un'azione che è utile ad esempio per la sopravvivenza dello stormo. Ma in tale azione non è richiesta la comprensione dell'azione (come), né della sua ragione (perché).
Anche fra gli esseri umani abbondano gli esempi di imitazione automatica e involontaria, che potremmo classificare come facilitazioni di risposta. Essi comprendono, oltre allo sbadiglio, il riso, il pianto e la riproduzione involontaria delle espressioni facciali.
Rimane il fatto che tali casi sono differenti da un altro fenomeno d'imitazione cioè:
b) la risposta volontaria di un gesto osservato. In questo caso imitare significa, infatti eseguire consciamente un'azione dopo averne osservata una simile, realizzata da un altro: un processo che comporta un'elaborazione cerebrale più complessa rispetto a quella richiesta da un'imitazione automatica. Dobbiamo però distinguere due situazioni.
b1) Possiamo riprodurre un atto che già conosciamo.
b2) Oppure possiamo eseguire movimenti che non si sono mai eseguiti in precedenza. Imitare diventa allora più difficile. Inoltre significa la possibilità di imparare nuovi comportamenti.
Per gli studiosi del comportamento animale si ha vera imitazione solo in quest'ultimo caso.
Wolfgang Prinz ha osservato che, quanto più l'azione da imitare è simile al modello già in dotazione, tanto più siamo rapidi e precisi. Secondo Prinz e i suoi collaboratori nel nostro cervello sembrerebbe esserci un codice comune visivo e motorio che trasforma immediatamente il modello visivo di un movimento in un atto motorio. Secondo Rizzolati questo meccanismo di replicazione di un'azione osservata potrebbe essere ricondotto al meccanismo dei neuroni specchio.
► Cosa succede quando eseguiamo un'azione per la prima volta, imitando qualcuno che ci insegna?
Vediamo l'esempio di imitare gli accordi eseguiti da un altro su una chitarra senza saper suonare.
Durante tale compito, il sistema dei neuroni specchio è risultato particolarmente attivo durante l'osservazione dei gesti altrui e durante la pausa successiva prima dell'esecuzione, utilizzata probabilmente per rielaborare i movimenti da eseguire. Durante la pausa si è attivata anche un'area ulteriore, posta nel lobo frontale, che già si sapeva essere responsabile di funzioni di pianificazioni dei movimenti e di memoria.
Quindi sia nell'imitazione facile che in quella difficile i neuroni specchio sembrerebbero coinvolti.
Più specificatamente nel caso difficile sembra che le immagini percepite sono elaborate nel sistema dei neuroni specchio, che produce una rappresentazione motoria interna dell'azione stessa. In particolare la rappresentazione visiva è scomposta nei suoi componenti elementari, che trovano un riscontro in segmenti già presenti nel repertorio cerebrale degli atti motori. I vari segmenti selezionati dal sistema specchio sono quindi assemblati nell'ordine necessario a permettere l'esecuzione fluida e armonica dell'azione da imparare. Questo assemblaggio è compiuto da quell'aria del lobo frontale che abbiamo visto attivarsi durante la pausa tra osservazione e azione, nel momento in cui l'allievo cerca di formare, internamente, l'accordo che ha visto eseguire e che successivamente ripeterà. Questa ricostruzione spiega soltanto una parte dei processi di apprendimento per imitazione, che coinvolgono anche altre funzioni cerebrali, quali l'attenzione, la memoria. Inoltre devono esistere in contemporanea meccanismi capaci di inibire l'esecuzione del movimento osservato, limitando in questi casi l'attività cerebrale a una simulazione interna. [quest'ultimo processo simulativo cosciente può essere avvicinato come funzionamento ai processi come sé di Damasio].

6) Conclusione
Senza meccanismi specchio il mondo che ci circonda potrebbe sembrarci incomprensibile tanto quanto un pianeta popolato da alieni; probabilmente non potremmo avere una vita sociale e la nostra sopravvivenza non sarebbe scontata.


7) Libro
“Nella mente degli altri. Neuroni specchio e comportamento sociale”, Giacomo Rizzolati, Luisa Vozza, Zanichelli, Bologna 2008